martedì 16 luglio 2013

E' QUELLO CHE PIETRO LAUREANO ELABORÒ PER LA PROVINCIA

Civiltà rupestre: Un progetto da rilanciare ma senza improvvisazioni

Beni culturali e territorio. È un binomio inscindibile che trova le sue chiavi di lettura all’interno sia dei processi storici che nelle realtà in cui il tessuto territoriale si presenta con le sue spaccature epocali a partire dagli elementi archeologici sino ad epoche più vicine alla cultura bizantina. In questo intaglio di geografia fisica e umana insiste costantemente, aspetti che ho messo in evidenza decenni fa con studi, convegni e dei video importanti che hanno mostrato la “faccia” del territorio grazie ad una collaborazione dell’agenzia Sirio di Taranto, ciò che è stato definito mondo sommerso del rupestre.
La civiltà rupestre con le sue gravine e con il racconto nell’area ionica tarantina che va da Matera sino a Maruggio. Uno dei primi approcci a me cari risale al giugno del 1995 con una Mostra sulla Civiltà Rupestre e il variegato contesto delle gravine in un intreccio tra la Basilicata e Taranto grazie anche al racconto di uno scrittore come Carlo Levi.
Una mostra, da me inaugurata, che la Provincia di Taranto ha sviluppato al Museo etno – antropologico di Roma e che ha riscosso un significativo successo con il relativo catalogo che ha posto in essere le virtù di un progetto non locale ma nazionale. Ritorna, all’interno della chiave di lettura dei beni culturali, la conoscenza e la valorizzazione del rupestre, del modello tufaceo, della roccia, del “gravinoso” in una area vasta del tarantino ben studiata da uno dei massimi conoscitori del problema, ovvero Pietro Laureano.
Pietro Laureano, per la Provincia di Taranto, ha sviluppato un progetto abbastanza articolata che ha avuto la capacità aggregante di intrecciare i territori e non il nucleo territoriale ristretto. Infatti oggi non si può e non si deve parlare di una gravina localizzata in un solo territorio né tanto meno delle terre delle gravine. La questione è archeologicamente e antropologicamente più complessa. Il rupestre è mediterraneo ma un mediterraneo delle grotte come è ben visibili anche in alcuni conventi.
L’esempio del Chiostro di San Francesco di Paola di Grottaglie è un esempio emblematico che deve rientrare in una archeologia del territorio e di un territorio come un sapere delle contaminazioni. La mappatura affidata a Laureano aveva come obiettivo certamente quello di candidare l’area del rupestre a patrimonio nazionale dell’Unesco ma andava anche a toccare quegli elementi storici di conoscenza di una area geografia ben specifica che è, appunto, quella che va da Matera, Massafra, Cristiano, Grottaglie, San Marzano, Maruggio. Oggi bisogna parlarne non con pressappochismo ma con professionalità, con conoscenza, con gli strumenti moderni e non solo teorici di uno sviluppo territoriale. La teoria della promozione delle gravine senza un progetto sui beni culturali intesi in termini fruitivi, valorizzanti, culturali non ha senso.
Ancora oggi i punti nevralgici restano gli organismi che stanno alla base di un progetto dell’economia della cultura: gli enti locali, il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero dell’Ambiente e le strutture del turismo avanzato. Ma il dato più concreto è quello di non cadere nel “provincialismo” e nella territorialità stretta della rivendicazione geografica. Un Progetto sul Rupestre ha senso se si crea una linea portante non solo dal punto di vista geografico ma anche epocale con le varie storie inserite, come già affermavo decenni fa, in un unicum.
Pubblicazioni, materiale di conoscenza, video, convegni ne abbiamo fatti a decina. Non da queste settimane ma da anni antichi. C’è stato e c’è un mondo dell’associazionismo abbastanza preparato in merito. Ho potuto constatare ciò nel corso di questi anni. Io insisto, con coerenza, che occorre riprendere il Progetto Laureano che aveva un senso ed ha un senso ancora oggi anche perché ci troviamo di fronte ad uno studioso serio che ha focalizzato con le tecniche moderne il legame tra la geografia del tempo e la simbologia dei territori.
Un altro punto emerge da questo dibattito che vorrei che si aprisse con esperti in materia e non con improvvisatori che sanno poco di cosa parlano: l’unicum significa articolare in un unico modello epocale le articolazioni territoriali. Le fasi storiche tra Massafra e Grottaglie, faccio un solo esempio, possono leggersi sotto una linearità storica ben precisa ma antropologicamente si presentano con diversità di fondo. Ciò vuol dire che la distinzione non può separare i territori ma deve intrecciali. L’altro aspetto riguarda la questione relativa al post – conoscenza e al dopo tutela. Abbiamo scritto pagine e pagine su questo argomento.
Il Progetto c’è ancora. Nessuno si inventa nulla perché chi pensa di inventarsi su questi argomenti significa che non conosce realmente la storia del territorio tarantino. Il Rupestre o le Gravine (che non è la stessa cosa) sono elementi di un bene culturale più articolato e come tale va iscritto in una politica ragionata sul patrimonio culturale di un territorio che racconta eredità, storia e progettualità.
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali guarda con molta attenzione a questa dimensione ma è una dimensione che vuole la sua scientificità in una interralazione che va dall’archeologia al linguaggio dei simboli sulle pareti delle grotte.
Il paesaggio è un ambiente. Ma è anche l’umanità di un territorio. E di questo avevamo discusso a partire dal 1995: da Taranto a Laterza, da Massafra a Grottaglie, da San Marzano a Martina Franca. Pubblicazioni, video, progetti sono ancora reperibili e restano strumenti inconfondibili e sicuri per uno studio appropriato e serio.

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