martedì 16 luglio 2013

L’arte della tessitura nella storia di Massafra

La tintoriadi Macubbe (Vincenzo Maglio) nella Gravina di San Marco
Solo pochi giorni fa ho parlato a Massafra per presentare il libro di Mino Mottolese “Massafra sotterranea. La città nascosta”, edito da Scorpione di Taranto. Per mettere in rilievo l’importanza scientifica dell’opera, ho detto che essa si inserisce degnamente nell’innovativo filone di ricerca sugli insediamenti rupestri ed ipogeici produttivo di studi severi che da circa un ventennio vengono condotti avanti attraverso il collaudato metodo della approfondita conoscenza autoptica, che ha consentito di datare con precisione le singole cavità artificiali del villaggio di Calitri in gravina Madonna della Scala ed ha consentito di identificare col villaggio messapico e poi latino di Anxia, citato da Guidone nel suo Itinerario come tappa fra Taranto e Mottola nel XII secolo (ma Guidone attinge a fonti molto antiche), il villaggio della gravina San Marco.
Quest’ultimo villaggio dovette essere distrutto durante la feroce e sanguinosissima Guerra Gotica (535-553) fra Goti a Bizantini che alla fine riuscirono a riconquistare l’Italia, ma a prezzo della sua desolazione e spopolamento.
Un segno del saccheggio è stato dato dal rinvenimento nel villaggio di oltre una trentina di monete di IV secolo, di età, cioè, costantiniana, rimaste in circolazione, come l’archeologia ci insegna, fino a tutto il VI secolo. Del villaggio disabitato si dimenticò il nome, come dovette accadere anche per Casalrotto di Mottola, e, quando, nell’VIII secolo, tornò ad essere abitato e vi vennero insediate le importanti chiese rupestri di San Marco e Santa Marina, venne considerato una appendice della Massa Afra che già nel X secolo nei documenti è chiamata Massafra.
E’ questa dell’dentificazione di Anxia una notizia, rivelata per la prima volta in pubblico, che conferma, contro quanto ritenuto fino a poco tempo fa dagli storici generalisti che pensavano che non vi fossero stati insediamenti nell’età classica, la ininterrotta continuità dell’insediamento rupestre dalla preistoria al post-medioevo. Questa continuità è ribadita dalla presenza del villaggio rupestre magno-greco di Carrino-San Sergio, che ha restituito ceramica del VI-III sec. a. C.
Ho quindi parlato delle origini nord-africane e datato al V sec. d. C. l’introduzione di quel modello, per le abitazioni a pozzo note localmente come “vicinanze”, modello che fu produttivo fino a tutto il XVIII secolo.
L’introduzione del modello avvenne tramite i profughi ortodossi che avevano abbandonato l’Africa settentrionale occupata dai Vandali ariani, e che, guidati dal vescovo di Calama Possidio, discepolo e biografo di sant’Agostino, si insediarono in una Massa incolta che da loro fu detta Afra. Possidio, chiamato in ambiente ellenofono Posidonio, fu sepolto nella chiesa ipogeica massafrese che da lui prende nome, donde le sue ossa furono traslate nel IX secolo in Emilia dall’imperatore Ludovico II, sceso in Puglia per abbattere l’emirato arabo di Bari, e tumulate nella chiesa campestre di San Giorgio, intorno alla quale, ridedicata a lui per i prodigi che si verificarono, sorse un paese, oggi in provincia di Modena, che ha nome di San Possidonio.
Tutto quello che ho detto era suggerito dal contenuto del libro, ampio e vario, Il volume, infatti, illustrato da fotografie, mappe topografiche ed accurati rilievi, è diviso in tre ampie sezioni, la prima destinata alla descrizione delle singole cavità della Massafra sotterranea, la seconda ai Luoghi della produzione, la terza alle Necropoli. E se la prima parte è la più affascinante per il lettore comune, la seconda e la terza sono le più interessanti per lo storico dell’economia e per l’archeologo. Nella prima parte, infatti, sono descritte numerose “vicinanze”, come i complessi di Vico Torelli, contigui a Piazza Garibaldi, dai quali si accede ad una delle più imponenti ‘piramidi’ ipogeiche, correttamente interpretate dall’Autore come cave di conci calcarenitici per le costruzioni soprastanti o prossime, ma spesso si parte dalle viscere della terra per descrivere monumenti subaerei, come accade per il monastero e la chiesa di San Benedetto. La solida formazione dell’Autore, che è informatissimo sulla produzione storiografica più recente, appare già dalla copertina del libro, che riproduce l’autentico stemma civico di Massafra, riprodotto in mosaico alla fine del Settecento ai piedi dell’altare della chiesa di quel monastero. Lo stemma è spaccato in due e presenta un castello rosso con tre torri, simbolo delle città dotate di mura, ed un leone d’oro rampante, simbolo di città libera. Per l’ignoranza degli araldisti locali, tutti dilettanti nel senso deteriore del termine, già nell’Ottocento il leone fu preso per quello dei Pappacoda e lo stemma ridotto, alla fine, ad una semplice torre con tre miseri merli, quasi Massafra fosse un trascurabile casale. Sarebbe tempo che l’amministrazione comunale intraprendesse l’iter burocratico per rivendicarne orgogliosamente l’uso.
Sarebbe difficile e praticamente impossibile nello spazio di una breve recensione parlare dettagliatamente di tutti i capitoli, diremo soltanto che, nell’opera, in più parti, si demoliscono leggende metropolitane, come quella di un lungo tunnel carrozzabile che avrebbe consentito ai feudatari di raggiungere, addirittura in carrozza, partendo dal Castello, una loro lontana masseria alla Marina. Mottolese non ne ha trovato traccia, e dunque il mitico tunnel è inesistente. Non piccolo merito della storiografia seria è quello di distinguere nettamente fra informazione scientifica, basata sui documenti, e leggende create dalla fantasia popolare, anche se le leggende hanno, per la gente comune, maggior fascino della nuda verità storica.
Di ogni cavità, sito, pozzo è data con precisione l’ubicazione mediante le coordinate geografiche, sicché il lettore saprà con precisione anche in futuro, giusto per fare un esempio, dove era ubicato l’antichissimo Pozzo Salzo, recentemente e stoltamente interrato, che per millenni ha fornito l’acqua agli abitanti della Gravina San Marco ed ai viandanti che transitavano sul Ponte degli Zingari.
Ma il recensore, attento soprattutto alla storia economica, segnala l’importanza della seconda parte, dove si parla della tessitura e della tintura dei tessuti, che ebbero in Massafra importanza fondamentale fino ai primi due decenni del Novecento, quando la felpa tessuta artigianalmente a Massafra da molte centinaia di tessitori fu soppiantata sui mercati dai velluti tedeschi prodotti industrialmente, meno resistenti ma assai meno costosi, della concia delle pelli, che serviva soprattutto per la confezione di finimenti e bardature degli equini, della molitura del grano, della produzione dell’olio, dell’allevamento dei colombi in imponenti colombaie rupestri, della produzione del miele in apiari allogati in cavità della roccia. Qui si produceva il celebre miele tarantino che, secondo il poeta Orazio, non era inferiore a quello greco dell’Imetto, il più celebre miele del mondo. Per tutte queste attività abbiamo, finalmente, non fumose informazioni conservate nella memoria dei vecchi, ma solide indicazioni sui luoghi, identificati e descritti.
Per le necropoli, abbiamo la descrizione di quella magno-greca di Carrino-San Sergio, con 120 tombe a fossa e due a camera e di quelle de l’Amastuola, saccheggiate per decenni dai tombaroli (la nostra prima segnalazione del saccheggio alla Soprintendenza Archeologica risale ai primi anni Cinquanta del secolo scorso) ed i cui lembi intatti e resti di abitato sono stati recentemente scavati dall’Istituto di Archeologia della Libera Università di Amsterdam, auspice l’intelligenza di Peppino Montanaro, proprietario della masseria.
Pressoché tutte le nostre città, e non solo Roma e Napoli, ma anche centri molto piccoli conservano una loro segreta parte ipogeica in cui è rinserrato un non trascurabile spaccato della loro storia. Il bel libro di Cosimo Mottolese puo’ essere offerto come importante modello metodologico per il loro studio e la loro conoscenza.

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